Racconto di Colas
Racconto contenuto nell’ebook [isnc]edizioni L’amore sbagliato – Racconti tra sedici anni e dintorni, Colas e Guido Siragusa, settembre 2014
Quando Daniele uscì dall’appartamento al quarto piano di quel vecchio palazzo nel Centro di Bologna precipitandosi giù per la rampa di scale, lo swatch al polso faceva le quattro di notte. Cazzo s’è tardi!, disse tra sé uscendo sul marciapiede.
Tanto per cambiare, fuori pioveva che Dio la mandava. Fu in quel preciso istante che Daniele si rese conto di non avere indosso il giubbotto di pelle, di averlo lasciato di sopra, sul divano, oppure abbandonato sul pavimento vicino all’ingresso. O forse in bagno. Non aveva tempo di pensare al giubbotto però, cazzo!, nemmeno di ritornare indietro a riprenderlo. Doveva assolutamente arrivare a casa prima delle cinque. A quell’ora suo padre di solito smontava dal turno di notte e se non lo trovava a letto sarebbe scoppiato un gran casino…
Suo padre non poteva immaginare in che modo e dove il figlio passava le notti quando lui era di turno col taxi. E il padre faceva spesso le notti, perché di notte si guadagnava di più. Fermo in piedi davanti la porta di casa, Daniele giurò a se stesso che se il vecchio non fosse già arrivato, l’avrebbe aspettato e gliel’avrebbe detto. Sì, era ora che lui sapesse di questa storia. Si toccò le palle in un gesto scaramantico. Poi entrò in casa in punta di piedi, cercando di alzare la porta perché non facesse il solito rumore strisciando contro il vecchio pavimento di piastrelle. Quando vide la luce accesa nella camera da letto del padre, per un attimo pensò che stava avendo una reazione allergica, un’istantanea in termini medici. Un attacco acuto di panico a cui era abituato in certe situazioni di stress, in grado di provocargli forti contrazioni muscolari che interessavano anche i muscoli intorno alla gola. Si sentiva tutto pesante: la testa, le palpebre, l’alito.
Si lasciò andare all’indietro lungo il muro scivolando in basso sul pavimento. E per un po’ rimase così, con il culo per terra e le ginocchia tirate su verso il petto, accovacciato in quel modo a fissare la luce in fondo al corridoio, come se l’alba del nuovo giorno dipendesse dall’umore di colui che stava dietro quella porta semiaperta. Gli ci vollero alcuni minuti per riprendersi. Poi si sfiorò i capelli bagnati, ma giusto dietro la testa. Tirati su, Daniele, si disse.Tirati su! E nel farlo si specchiò per un attimo nel mobile all’ingresso. E si vide come non s’era mai visto prima. Si vide persino bello. I capelli lunghi, gli zigomi, la pelle bianchissima, la piega degli occhi… Fin troppo bello per essere un ragazzo. Daniele si avvicinò al suo viso, e posò le labbra sulla bocca riflessa nello specchio in penombra. Rabbrividì nel sentirla così fredda, e si ritrasse. Potresti passare tutta la notte a provare a spiegarglielo, ma il vecchio non capirebbe, si disse. Non capirebbe. Tanto vale non dire niente. Tanto vale!
Allora, solo allora, Daniele girò lentamente lo sguardo di nuovo verso la porta semiaperta in fondo al corridoio. La luce gialla che usciva dalla stanza tagliava di netto la parete di fronte in due, come perforata da un sottile laser che si schiantava inesorabile contro il soffitto. Poi chiuse gli occhi, e s’impedì di pensarci. Doveva dormire, così non avrebbe sentito più male, più niente. Buona notte, disse a voce bassa, quasi sussurrandolo.
Entrò in camera sua e si chiuse a chiave. Prima di farlo guardò in silenzio la porta sempre uguale.
Sì, l’indomani glielo avrebbe detto. Forse. Ma per un attimo, nel buio di quella stanza, non ne fu più così sicuro. Nel frattempo fuori aveva quasi smesso di piovere.
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