Racconto di Colas

Racconto contenuto nell’ebook [isnc]edizioni L’amore sbagliato – Racconti tra sedici anni e dintorni, Colas e Guido Siragusa, settembre 2014

L’antefatto

«Cosa ti piace fare?» disse con una specie di sorriso.
«Di solito ballare.»
«No, voglio dire… a letto.»

«Di solito lascio fare… E a te cosa piace fare?» chiesi senza voltarmi.
«Lo vuoi rosso o giallo?» disse dopo un attimo.
«Scusa?»
«Il preservativo… lo vuoi rosso o giallo?»
«Tu, quale preferisci?»
«Ecco, tieni» e me ne allungò uno a caso.

Seduto sul letto, io rimasi immobilea fissare il vuoto per un po’, con quel preservativo giallo in mano e il cazzo duro da farmi male. A un tratto la voce del tipo mi riportò alla realtà, e…
«Cazzo aspetti, vuoi infilartelo o no?»

Il tipo si chiama Max. Ha quasi dieci anni più di me, e fa il pi-erre all’Alter Ego. Era apparso all’improvviso nella mia vita qualche settimana prima durante una serata in quella disco. L’avevo conosciuto nel privé. Qualcuno gli aveva detto che mi piaceva e che ci sarei anche stato.

«Max…» dissi all’improvviso, piegandomi verso di lui, con lo sguardo un po’ spaesato.
«Sì?»
«Non mi va più!»
«Come sarebbe a dire… che non ti va più?»
«Sarebbe a dire che ho cambiato idea» risposi tranquillo. «Non si può cambiare idea?»

Max non smetteva di fissarmi.
«È una situazione nuova anche per me, è la prima volta che mi succede una cosa del genere» disse pressappoco.
Subito dopo appoggiò i gomiti sul letto e si chinò su di me sino a guardarmi negli occhi, proprio da vicino.
«Andiamo, dài…» disse.
E provò a sorridere.

Io non risposi. Mi alzai lentamente dal letto. Lui continuava a fissarmi, mentre mi rivestivo in tutta fretta. Quando avevo già una mano sulla maniglia della porta, mi fermai un attimo a guardarlo.
Stavo per cambiare idea, ma poi uscii.
Subito dopo pensai che non era neanche male quel tipo, e questo mi sembrò ancora più stupido.

«Allora VAFFANCULO!» urlò Max, mentre la porta si chiudeva alle mie spalle…
«Vaffanculo! Vaffanculo! Vaffanculo!»


ll fatto

Avevo da poco compiuto sedici anni. Sin da quando ho iniziato a sentire i primi pruriti, ci ho pensato spesso come sarebbe stato bello fare quella roba lì. E ci ho pensato molto. Però non riuscivo mai a trovare una ragione, uno straccio di ragione buona per farlo. La verità è che c’era qualcosa in me che mi attirava e qualcosa che invece mi tratteneva dal farlo. Un qualcosa, laggiù in fondo, che neanche io sapevo spiegarmi, un qualcosa che mi sarebbe piaciuto scoprirlo. Ma mi sarebbe piaciuto sul serio.

«È un po’ come con le ostriche… Mi piacerebbe un sacco mangiarle, è bellissimo vederle mangiare, ma mi fanno schifo, non c’è niente da fare, mi ricordano il catarro, hai presente?»
Questa cosa che avevo letto da qualche parte, la sera dopo l’antefatto la dissi al telefono al mio migliore amico.
«Sì, forse…» rispose.
«Ieri l’ho trovata!»
«Hai trovato cosa?»
«Una ragione buona… per farlo.»
«Veramente?»
«Sì, insomma…»
«Sarebbe?»
«Sai quel tipo di cui ti ho parlato, che fa il pi-erre all’Alter Ego? Sì, insomma, quella storia che lui voleva farmi un provino ma a me non andava… Be’, ieri sera ci sono andato.»
«A fare il provino?»
«No, a letto!»

All’altro capo del telefono, il mio amico ammutolì. Io ne approfittai per accendermi una sigaretta. Tirai una lunga boccata, poi ripresi a parlare.
«Sei ancora lì?»
«Uhm…»
«Sai la cosa curiosa? Quando è stato il momento, quando mi chiede se lo voglio blu o giallo…»
«Se volevi cosa?»
«Il preservativo… blu o giallo.»
«E tu?»
«Io, cosa?»
«Il preservativo, di che colore…?»
«Senti un po’: invece di infilarmelo, sai cosa faccio? Sto lì, fermo con quel cazzo di preservativo giallo in mano, e guardo il tipo che mi fissa negli occhi, che mi urla di far presto…»
«Allora l’hai preso giallo… E tu?»
«Io, niente.»
«In che senso?»
«Nel senso che scivolo giù da letto, mi vesto e lo mando in bianco.»

«Dài…» disse il mio migliore amico dopo un attimo di silenzio.
«Sì.»
«Mettiamo che per assurdo io mi beva questa stronzata, no?»
»Sì.»
«Mettiamo che ancora più per assurdo io mi beva anche il fatto che tu l’hai mandato affanculo…»
«Sì.»
«Allora, cazzo ci hai provato a fare? Me lo spieghi?»
«Non capisco.»
«Non importa.»
«No, aspetta…» dissi piano.
«Senti…» rispose, dopo un po’.
«Si?»
«Vuoi che venga da te?»
«No!»
«Sicuro?»
«Sì!»
«Sai una cosa?» disse, a voce bassa.
«Cosa hai detto?»
«Sì, insomma, ti piace essere quello che sei… Voglio dire: tu sei bello, il tuo vecchio ha un sacco di soldi, le ragazze fanno di tutto per dartela… Ma a te piace solo tirartela… Sai qual è il tuo problema, lo sai?» ribadì con un tono deciso.
«Non so, dimmelo tu…» risposi con il tono di chi invece non gliene frega più di tanto di venirlo a sapere.
«Se proprio lo vuoi sapere, tu sei contento di essere così come sei. Sì, insomma, tu non vuoi essere uno qualunque, come me, come gli altri… Ti sta bene essere così… L’unica cosa è quella lì! Solo quello. Veramente solo quello, ma sapessi quanto mi fa incazzare!»
Io non risposi.
«Allora va bene, finiamola qui!» disse lui. E chiuse la telefonata.


L’epilogo

«Senti, ti racconto ‘sta cosa. Un giorno arriva uno, nel mio quartiere, uno di fuori, mi incrocia per strada e mi ferma. Vuole sapere che cosa penso dei froci. Io non dico niente e lo guardo, così lui comincia a spiegarmi, mi dice di essere uno della televisione, che è lì per fare un servizio sul disadattamento giovanile nel quartiere, droga, prostituzione, insomma le solite stronzate del genere… Io sto sempre zitto. Lui inizia a scaldarsi: dài, dice, sei giovane, è impossibile che tu non abbia un’opinione… E io, lì, sempre più zitto. Alla fine si incazza, urla che se non mi andava di parlare potevo anche dirglielo. Urlava, e io lì, sempre più zitto, capisci?»

«E poi?»
«E poi basta!» dissi.
«In gran parte sono storie…» aggiunsi dopo un po’.
«Che storie?»
«Sì, sono solo storie… » continuai.
«Il vero problema io ce l’ho dentro. È che non mi accetto per quello che sono. E questo è come una cellula malata, cresciuta in modo distruttivo.» E tirai su col naso.

«Tutto qui?» chiese il mio amico. Che adesso era seduto per terra, sulla moquette della mia stanza, e mi fissava dritto negli occhi.
«Come sarebbe a dire, tutto qui?»
Allora il mio amico disse che lui sapeva di piacermi, che io mi facevo un sacco di storie e non avevo le palle per ammetterlo; che lui invece lo aveva capito sin da subito, sin da quella sera che gli avevo raccontato al telefono del tipo dell’Alter Ego, e probabilmente c’entrava col fatto che non aveva più niente da perdere. Il che era una gran fortuna, aggiunse poi. Può essere una cosa emozionante. Proprio così, emozionante. Questa fu la parola giusta.

«Tu lo sai cosa ci succede se adesso ti dicessi che hai ragione, eh?» gli risposi a bruciapelo.

Lui mi guardò, poi mi sorrise. Un sorriso che non gli avevo mai visto fare prima. Allora mi chinai su di lui, sulla moquette rosso fuoco della mia stanza. Mi avvicinai piano, posai le labbra sulla sua fronte, poi mi staccai appena, e rimasi là a guardarlo da così vicino. Lui passò la mano tra i miei capelli. Si alzò un po’, mi baciò sull’angolo della bocca e poi proprio sulle labbra: prima piano e poi premendo forte, sempre più forte, con gli occhi chiusi…

Dopo, facemmo l’amore per la prima volta. E fu bello davvero.

Proprietà letteraria riservata © 2014 [isnc]edizioni

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