Racconto di Anna Carbich
Racconto contenuto in apologos, la collana di narrativa, n.13, [isnc]edizioni, agosto 2006
Scriveva così Anna Carbich nell’introduzione di questo numero della collana presentandosi ai lettori: (…) Divento grande. Comincio a mettere giù qualche ricordo, prima di perdere la memoria. Ogni tanto qualcosa mi fa arrabbiare e scrivo. Trovo che scrivere sia terapeutico. Scopro un sito su cui tutti possono pubblicare. Adotto uno pseudonimo, Anna Carbich. Un giorno ricevo un commento che mi esalta, nessuno mi aveva mai detto niente. Di solito quando facevo le cose che mi sentivo veramente di fare mi sentivo stupida. L’autore del commento è Alois Braga, che mette anche un link, I Sogni nel Cassetto. Gli vorrò sempre bene per la sua generosità. La mia vita cambia. Davvero. (…) Non mi sento più stupida, è una sensazione bellissima. Conosco virtualmente altri “sognatori”.
Alan osserva perplesso le mutazioni subite da quella specie di insetti in soli due anni. Sta riponendo in una scatolina trasparente l’ultimo esemplare ritrovato, con nome, data e luogo del ritrovamento. Mette anche un po’ di naftalina, per conservarlo meglio
Alan è un collezionista nato. Raccogliere, catalogare, organizzare, sono per lui una necessità che rispecchia forse quell’innato bisogno di ordine tipico dell’uomo che vuole razionalizzare l’irrazionale.
Alan raccoglie e conserva tutto con un amore quasi ossessivo, dagli insetti ai francobolli, dalle monete alle conchiglie. Là dove non può tenere materialmente gli oggetti ecco che si organizza delle collezioni mentali. Studia quindi fiori, funghi e animali, ne ricorda nomi e caratteristiche, così da poterne riconoscere anche le specie più rare qualora imbattesse in un bell’esemplare.
Il suo non è tanto un desiderio di far sfoggio di erudizione, anche se un po’ di vanità forse c’è, quanto la volontà di essere partecipe della realtà che lo circonda. Un atteggiamento di rispetto e gratitudine quasi religioso. Qualsiasi fenomeno inspiegato lo affascina, dall’insetto mutante alla pianta che appare improvvisamente in un habitat a lei finora ostile. Non ne è turbato o spaventato, ma la parte di lui che cerca il mistero ha in questi casi sempre il sopravvento, quasi voglia dimostrare più che la verità scientifica
proprio la verità “magica”.
Mentre Alan sta catalogando i suoi insetti Iris sta dando l’ultima pennellata al suo nuovo quadro. Si è scoperta tardi questa vena artistica. Prima era sempre stata convinta di non avere propensione per forma d’arte. E’ anche piuttosto maldestra. Non è però completamente analfabeta in fatto di arte, gode infatti di
musica, pittura, teatro e lettura.
Le ultime mostre di pittura visitate l’hanno fatta pensare. Dei quadri visti più ancora delle immagini l’aveva colpita la forza dei sentimenti di cui erano pervasi, la violenza del messaggio trasmesso, per il quale forse solo un grande poeta sarebbe riuscito a trovare parole adatte.
Era rimasta particolarmente impressionata dalla forza espressiva dei colori usati da una pittrice esule russa dei primi del ‘900. Nei suoi viola, rossi e neri aveva colto tutta la tragedia di una vita. Nelle braccia protese verso il sole, verso la luce, aveva letto la speranza, la voglia di vivere nonostante tutto.
Altri quadri cosiddetti astratti, che una volta si permetteva di “disprezzare” con grande superficialità solo perché non li capiva, cominciano ad acquistare nuovi significati ai suoi occhi.
Intuisce che forse può esprimere anche lei, a modo suo, ciò che la tormenta, la difficoltà di vivere, la confusione nella sua mente, sentimenti per i quali non sempre riesce a trovare le parole giuste per parlarne, ma che sente di dover esprimere per capire almeno un poco il mistero della sua vita.
E così ha cominciato, usando tanti colori in assoluta liberà, disegnando forme semplici, oggetti familiari, cercando di dare un’immagine a sogni e rimpianti, a ricordi vissuti e immaginati, senza preoccuparsi dello stile o della tecnica usati.
Incoraggiata da alcuni amici, un’estate, complici il sole e l’atmosfera lieve delle vacanze, si è lasciata convincere ad esporre le proprie “opere” in una mostra collettiva di pittrici dilettanti, nel paesino di montagna dove si trova per riprendersi dalle fatiche di un anno di lavoro.
Sede della mostra le scuole elementari, adibite per il periodo estivo a centro “multiuso”, che oltre alle opere delle pittrici dilettanti, ospita anche la mostra mercato dell’artigianato e specialità locali, l’esposizione dei lavori femminili eseguiti dalle pie donne, una vendita missionaria e una mostra di rettili e animali esotici. Il trionfo del kitsch vacanziero.
Ed è proprio davanti a quelle scuole che si trova a passare Alan in un grigio ed ozioso pomeriggio estivo. Anche lui in vacanza, ha ceduto alle insistenze di alcuni nipotini che l’hanno trascinato a vedere le terrificanti creature esotiche in mostra.
Così, dopo aver contemplato enormi tarantole, pericolose vedove nere, orribili iguana e velenosi serpenti, passano davanti ai quadri delle signore dilettanti.
I bambini si fermano attratti da un variopinto pagliaccio ammiccante da una parete, lui invece è colpito da un piccolo quadro, anch’esso molto colorato e certo senza un gran valore artistico, raffigurante una vecchia casa un po’ sbilenca. Spicca, nel mezzo della facciata un balconcino fiorito dal quale sembra
salutarlo una bambina.
Fruga Alan nei suoi ricordi, così ben classificati, alla ricerca affannosa di un indizio che lo colleghi a quell’immagine. Che cosa l’ha colpito di quel quadro? Perché? Non certo la vecchia casa, una come tante, non il balcone fiorito, assolutamente banale. Forse il cenno della bambina, della quale peraltro non si riconoscono i lineamenti?
Sfoglia di nuovo Alan il catalogo dei suoi ricordi. Niente. Ma quel gesto, cos’è, un invito o un saluto, un addio o un arrivederci? A chi è rivolto? Di certo è un cenno amico, pieno di sentimento.
Seguendo un impulso assolutamente irrazionale, Alan decide di comprare il quadro. Deve capire quale corda è stata toccata. Una persona come lui, abituata a risolvere con facilità complicati problemi matematici, non può restare con un tale dubbio. Non ci possono essere caselle vuote nella sua collezione.
– Ci conosciamo? – Si sente chiedere dalla signora che sta confezionando il quadro.
Lui la guarda. Di nuovo quella sensazione che si potrebbe banalmente definire come déjà vu.
– No, non credo – risponde Alan esitante, prendendo il quadro e avviandosi verso l’uscita.
La signora lo saluta.
Ecco che rivede il gesto della bambina del quadro nel saluto della signora. Si ferma e chiede:
– E’ lei la bambina del quadro?
– Sì, certo, ma come ha fatto a riconoscermi?
– Non so – risponde Alan mentendo. Sa benissimo infatti che la gestualità di una persona, così
come la sua andatura, è molto più rivelatrice che non un’espressione del viso, più facile da controllare.
– Mi dica di lei, la prego, mi racconti la storia di quella bambina.
E così Iris comincia a raccontare del quadro e dei colori della sua vita, di quando bambina osserva stupita il mondo dal suo balcone. Poi gli fa vedere gli altri quadri. Un vecchio che fuma la pipa, un cane su un sentiero di montagna. Dei fiori. La bambina che piange. Una vecchia arcigna e minacciosa. I volti non si riconoscono, ma ciò che sorprende Alan sono i gesti, i colori, gli atteggiamenti, in cui ritrova angoli della sua di vita, le sue prime emozioni, i primi dolori.
Il racconto continua, ogni quadro un episodio. Ma sono le immagini ad affascinarlo o è la voce di Iris, sono le sue parole, i suoi gesti?
– E lei – gli chiede Iris, – dove ha messo i suoi quadri?
– Io non dipingo. Io conservo, catalogo, colleziono, metto in naftalina.
– E’ proprio necessaria la naftalina?
– Sì, per gli insetti. Invece i fiori vanno seccati bene perché non marciscano, e devono essere tenuti al riparo dalla luce perché non perdano i colori.
– Ma è proprio indispensabile uccidere gli insetti, togliere ai fiori la luce, che è la loro fonte di vita, per conservarne comunque solo il ricordo? Io incornicio i miei quadri solo per poterli appendere, ma in essi non c’è niente di morto. Anzi, sono i ricordi che vogliono rivivere, in modo prepotente, mio malgrado. Anche lei avrà ricordi, passati e futuri, che si rifiutano di essere messi in naftalina, ne sono sicura.
Per tutta risposta Alan sorride. Il pacchetto è pronto e Iris e Alan si salutano con un arrivederci.
Il giorno dopo, approfittando del bel tempo, Alan porta i bambini a fare una lunga passeggiata in montagna. La bellezza del paesaggio lo stordisce sempre, ecco perché ci torna così volentieri.
Come conservare altrimenti il senso di ebbrezza e di appagamento, come riviverlo senza doverlo costringere in un apposito contenitore, se non tornando e ritornando in quegli stessi luoghi?
Un impulso incontrollabile – di nuovo – gli fa cogliere seppur delicatamente due stelle alpine.
– Ma lo sai che non si può raccoglierle, che è una specie protetta? – lo rimproverano i bambini.
– Portatene una alla mamma, saremo perdonati – dice.
La sera torna, da solo, alla mostra di quadri.
– Ho visto che ci sono tanti fiori nei suoi quadri – dice porgendo la stella alpina alla pittrice.
– Sì, i fiori mi sorprendono e mi commuovono… – risponde Iris – vorrei conoscerli tutti per nome. Trovare una specie rara per me è un dono. Di stelle alpine non ne ho mai trovate. Grazie, l’accetto volentieri.
– Mi parli ancora dei suoi quadri, di questo magari – dice Alan indicandone uno che ieri non aveva notato, lo scorcio di una via cittadina, grigio, triste.
Iris gli racconta allora dei giorni lontani trascorsi in quella città.
– Lo sa che c’ero anch’io in quella città? – dice ancora Alan, ascoltandola.
– E pensare che io mi sentivo così sola – sussurra Iris, quasi tra sé e sé.
– Vuol dire che ci siamo sfiorati, ma non ci siamo mai incontrati. Perché?
– Io ho smesso di chiedere perché, troppo pericoloso – risponde Iris. – Quando ci capita qualcosa di brutto, ad esempio, ci si chiede: perché è successo proprio a me? Proviamo a rovesciare la situazione, perché non ce lo chiediamo quando ci capita qualcosa di bello? No, meglio non farsi domande che non hanno risposta. Meglio osservare e lasciarsi sorprendere da ciò che succede, nel bene o nel male che sia. Preferisco non usare troppi punti interrogativi.
– Vede allora che le nostre posizioni non sono così distanti. Io catalogo e incasello proprio per osservare meglio, non per fare domande -. Poi aggiunge: – Lo sa che a me non piacciono i punti esclamativi?
Iris sorride. Intanto si è fatto tardi, è l’ora della chiusura.
– Però guardando i suoi quadri e ascoltando i suoi racconti – continua Alan – non posso non farmi domande, non cercare di ricordare se o quando ci siamo già incontrati. Ho sempre questa sensazione di aver vissuto anch’io le sue storie, di aver visto la sua casa, conosciuto i suoi nonni.
– Guardi che io ho cominciato a dipingere perché volevo mettere un po’ d’ordine nei miei ricordi e nella mia mente, perché avevo un senso di smarrimento, di incompletezza, perché volevo fare un po’ di chiarezza. Non avevo certezze. Non avevo nemmeno le parole per parlare di questa confusione, ecco perché mi sono decisa a prendere in mano il pennello. Sono andata con ordine e ho cominciato dall’infanzia. E non mi dica che sono brava, so che non è vero e non è nemmeno importante. Importante invece è che dipingendo prima e adesso parlandone con lei sono riuscita finalmente a vedere meglio dentro di me, a trovare le parole che mi mancavano e forse ho trovato anche una risposta.
– Rassicurante?
– Non so – risponde Iris guardandolo negli occhi. – E’ rassicurante trovare qualcosa che si cerca da una vita ma che non si sapeva di cercare?
—
Qualche anno dopo.
Iris continua a dipingere. Adesso nei suoi quadri si vede spesso una figura maschile. Non partecipa più a mostre o concorsi, non cerca il successo commerciale. Ha imparato ad accettare la sua confusione mentale ma adesso sa perché, per chi dipingere.
Alan continua a collezionare. Il suo problema adesso è trovare, se non la casella, almeno la sistemazione giusta per i quadri di Iris. Non cessa di lasciarsi sorprendere.